Il Mago n. 37, aprile 1975 (Raymond: Rip Kirby)


Presentiamo due estratti, dai capitoli secondo e ottavo, riguardanti Il Mago e Scuola di Fumetto. Ricordiamo che nel volume l'impaginazione permette la lettura dell'analisi contenutistica in maniera indipendente oppure parallela a quella grafica, che si chiude in ogni pagina con la fine di un paragrafo.

Il Mago
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I costi salgono e nel gennaio 1975 il formato viene ridotto: le pochissime nuove strip proposte, sempre statunitensi, stentano a reggere il confronto con quelle classiche; le parti redazionali si riducono alle proposte, per lo più di narrativa, di Fruttero & Lucentini. La rivista si trascina amorfa, e non basta un insieme di fumetti divertenti per reggere una confezione algida. Un anno dopo anche il numero di pagine viene ridotto, da novantasei a ottanta: partito con ottantamila copie vendute, il mensile si era assestato sulle cinquantamila ed ora è sulle trentamila. Al dirigente del settore Disney e ragazzi, di cui Il Mago fa parte, "viene l'idea che la rivista sarebbe potuta arrivare a grosse vendite se avesse cessato di rivolgersi al pubblico di appassionati di fumetto per diventare un periodico per bambini."
Nell'aprile 1976 il periodico si mostra completamente rivoluzionato: in copertina è la scritta "Le famose rubriche del mago a cura di streghe indovini draghi fattucchiere". Ricorda il direttore Beppi Zancan: "nei primi numeri ho dato l'idea che potesse essere un fumetto per ragazzini: per avere un paravento con quegli alti dirigenti che presto sarebbero tornati a dimenticarsi del Mago."
Il grande rinnovamento è nell'apertura a nuovi autori italiani: segnerà il nuovo lungo periodo di vita della rivista e costituirà così la prima importantissima occasione per nomi che ormai sono parte della storia del fumetto, non soltanto italiano. È soprattutto nella striscia umoristica che molti giovani si cimentano, e già sul numero 53, pochi mesi dopo il rinnovamento, esordisce un personaggio che continua tuttora ad essere prodotto: il faraone Nilus dei fratelli Origone. Rari sono coloro che si dedicano a storie in più tavole: fra questi è Panebarco che azzecca subito il giusto personaggio con Big Sleeping, detective immerso in vicende stracolme di ironiche citazioni intellettuali. Vengono chiamati autori umoristici già affermati per realizzare fumetti che possano piacere anche ad un pubblico più giovane: esordiscono su di una rivista d'autore abili professionisti come Cimpellin, Pezzin, Cavazzano (che riprenderà qui Altai e Jonson su testi di Sclavi). Dovrà passare del tempo prima di vedere qualche giovane impegnarsi in disegni più realistici: dalle tavole intimiste di Alligo a quelle grottesche di Filippo Scòzzari (qui presentato con lo pseudonimo di Winslow Leech) sino a quelle di Carpinteri, ancora lontanissime dallo stile d'avanguardia con il quale emergerà insieme al gruppo di Valvoline. Tra questi nuovi fumetti capiterà talvolta qualche raro accenno alla politica, ma la linea apolitica della testata non ne viene intaccata. Le strisce straniere continuano ad apparire a rotazione, fino alla scadenza dei diritti: diverrà invece una presenza quasi fissa il classico Braccio di Ferro degli anni trenta di Segar, cui seguirà Li'l Abner di Al Capp, quasi un memento dei Maestri per i giovani autori. La sezione avventurosa della rivista resterà incerta tra materiali eterogenei prima di tornare a puntare sui veterani Dick Tracy e Rip Kirby. Zancan continua "a fare ricerca sul fumetto classico. Approfittando della potenza di Mondadori avevo fatto arrivare dall'America cose inedite, riprodotte su microfilm, sino ad avere tutto il Braccio di Ferro rintracciabile."

Il Mago n. 63, giugno 1977 (Panebarco: Big Sleeping)

Gli esordienti nella striscia umoristica intanto sembrano già mostrare la corda: la selezione è rapida, e aiuta alcuni a trovare la dimensione ideale nel racconto breve (Cavezzali). È d'altronde il momento della crisi per la strip anche nel paese che l'ha creata. Sul Mago non restano che due strisce umoristiche, quelle di più sicuro gradimento: Blondie e Mafalda (che l'autore aveva sospeso nel 1975).
La posta ritorna e ha buon rilievo per la scelta del direttore di dare spazio ai lettori e ai loro giudizi: quando però questi si limiteranno ad essere semplici elenchi di preferenze, la rubrica verrà soppressa. C'erano stati alcuni tentativi di rubrica umoristica, spariti rapidamente, e le recensioni di Bernardi: ma a resistere più a lungo è Fantasmagoria, un fitto resoconto curato da Santi Urso su quel che "il Mago vede sogna ascolta legge viaggia medita & consiglia".
La rivista sembra aver trovato un suo equilibrio, con una parte occupata dal materiale classico della più alta qualità che fosse possibile trovare sul mercato, e la rimanente lasciata libera di ospitare autori italiani noti e ignoti. Tra gli esordienti assurge rapidamente al gradimento dei classici Vittorio Giardino con le inchieste di Sam Pezzo, ambientate in una Bologna fra noir e realtà quotidiana. I primi lavori del disegnatore erano meno promettenti di quelli di altri, ma riuscì ad evolversi grazie alla sua tenacia, e ai consigli e agli incoraggiamenti di Zancan, il cui fiuto di scopritore di talenti ne fa una figura di importanza fondamentale nel fumetto italiano.
Altri giovani di quel calibro sono però rari a trovarsi, per quanto la rivista pubblichi anche autori apparentemente promettenti (ma poi persisi per altre strade): la voglia di avventura che il pubblico sembra dimostrare va soddisfatta ricorrendo a fonti più tradizionali, e cioè all'agenzia inglese da cui proverranno alcune strisce avventurose, come Axa di Avenell & Romero, e qualche breve racconto horror.
La rivista vendeva sulle venti-ventitremila copie, "cifre non irrisorie, ma la Mondadori adottava il sistema di caricare ogni settore delle spese generali, che erano imponenti. Inoltre nessuno procurava pubblicità al Mago. Era abbandonato, quindi risultava passivo." Zancan cerca di attirare il pubblico con opere inedite di autori italiani famosi: Crepax riprende Anita, creata per Sorry, e Magnus presenta l'eroina fantascientifica Milady. Neppure questi nomi bastano a risollevare le sorti della rivista: vi si proverà con numeri che potevano dirsi monografici essenzialmente per lo scopo di mettere uno strillo in copertina. Negli uffici direzionali di Segrate la sorte della rivista è già segnata: la chiusura coincide con il numero del dicembre 1980. La Mondadori non ritornerà più nel campo delle riviste di fumetti d'autore e cede la proprietà della testata per una cifra poco più che simbolica a Zancan: nell'editoriale egli ipotizza una prossima ripresa con un altro editore, ma non sarà possibile attuarla.
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Il Mago n. 35, febbraio 1975


[Il Mago - Grafica]
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Prima saltava fuori dal cappello del mago: con la nuova grafica il sommario, sempre in seconda di copertina, raggiunge una funzionalità straordinariamente immediata tramite l'accostamento dei volti dei personaggi ai titoli stessi.
Quando il formato si assesta su quello ormai proprio di Linus ed Eureka, il logotipo cambia ancora, giocando su di un graziato. All'interno, da un generalizzato utilizzo di caratteri con grazie (Times, Aster, etc) si arriva alla regolare adozione di bastoni (Helvetica). Il cartoncino semilucido di medio peso della copertina non muta, come neppure muta la carta semiruvida di grammatura medio-bassa degli interni: soltanto negli ultimi numeri diverrà più scadente.
Al cambiamento contenutistico si accompagna anche, come solitamente avviene, quello grafico. Finalmente viene trovato un logo destinato a durare, riconoscibile anche per la positura inclinata. L'immagine di copertina torna a pretendere di mostrare troppi personaggi, ma presto si limita ad uno soltanto in un'illustrazione a piena pagina, di rado appositamente realizzata.
Per gli articoli non c'è alcuna impostazione costante, cercando al più di accompagnare al contenuto la grafica del titolo, talvolta ricorrendo al disegno. L'unico accenno all'unità grafica è tra il logo e Il Mago risponde, che ne riprende l'accavallamento dei caratteri.
Nella rinata rubrica della posta un tema viene molto discusso: il montaggio e il formato con i quali vengono pubblicate le strisce avventurose. Continuando a montare a quattro strip per pagina come nel periodo "gigante" della rivista, la leggibilità ne risente: le vignette vengono allora ingrandite, senza troppi dubbi sull'adattamento alla gabbia, e per disegni accurati come quello di Salinas è nuova vita. Alcuni syndicate tengono rigidamente separate le vicende narrate nelle strisce quotidiane da quelle delle tavole domenicali, ma altri fanno continuare nei due formati un'unica storia, come nel caso di Dick Tracy. Ci sono però lettori che leggono soltanto il supplemento domenicale: la tavola sarà dunque occupata in buona parte da vignette riassuntive di quel che è stato narrato durante la settimana. Analogamente, per coloro che durante il week end non acquistano il giornale, un riassunto della domenicale è nelle prime strip della settimana successiva. Si creano così ripetizioni che vengono ad essere fastidiose quando il fumetto viene riproposto in una dimensione diversa da quella per cui è stato creato.
"Un traduttore viene preso dalla disperazione quando a distanza regolare di cinque o sei vignette si trova per tre volte la stessa scena in cui un collega dice al protagonista poliziotto: 'Hanno preso Jack!'. Deve cambiare per forza la frase per non far apparire immeritatamente stolido il secondo e isterico il primo". Così Ferruccio Alessandri, che continua: "Una pagina è piena di vignette ripetitive? Tagliare, tagliare. Gli autori lo farebbero se destinassero il loro materiale direttamente a una rivista." Quest'ultima affermazione chiarisce molto bene l'importanza che ha la fruizione della storia da parte dei lettori, ben maggiore di quella dello scrupolo filologico che serve appunto ad una comprensione dei meccanismi della narrazione, o semplicemente a compiacere il purista appassionato.
Una rivista con un ampio pubblico come Il Mago, che abbisognava di opere che mantenessero vivo l'interesse del lettore, fu più che legittimata a rimontaggi come quelli effettuati per l'opera di Chester Gould. Si mutò anche l'altezza delle vignette, non tanto per un adeguamento alla gabbia del mensile (risolto in precedenza riempendo il bianco eccedente con un vistoso titolo corrente) quanto per dare più spazio a balloon con testi normalmente più lunghi rispetto agli originali in inglese. Non era però una forzatura, poichè così ci si avvicina al formato nel quale il disegnatore creava la striscia, con la vignetta più alta di quella che siamo abituati a vedere: aggiungeva una porzione di disegno al margine orizzontale, ininfluente alla comprensione della trama, ma utile al fine di permettere ogni possibile taglio a seconda delle esigenze impaginative di tutti i quotidiani, svariate centinaia in questo caso, in cui veniva pubblicato.
Erano comunque gli ultimi esempi di strip avventurose su di una rivista con materiale eterogeneo: i gusti dei lettori stavano mutando, ed era immensa la differenza fra quelle e le nuove produzioni non umoristiche che stavano arrivando soprattutto dalla Francia.
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Scuola di Fumetto
È un periodo in cui "tirano" i periodici "didattici", consiglia il distributore alla giovane Coniglio Editore, appena nata accanto alle braci di Mare Nero e bisognosa di pubblicazioni che portino un rapido rientro economico: fra una scuola di taglio & cucito e una di sopravvivenza si cerca di vedere se può starci una Scuola di Fumetto. Vani gli sforzi di trovare un altro nome che non renda titubante al momento dell'acquisto il lettore attempato, il mensile esordisce nelle edicole nel giugno 2002 diretto da Laura Scarpa. Che si vada in cerca di un pubblico non limitato a quello degli aspiranti autori è palesato anche da una contraddizione in termini: le 64 pagine sono tutte a colori: dunque non è propriamente una scuola di fumetto, uno dei primi insegnamenti per l'aspirante essendo quello di imparare con il bianco e nero, e con esso di proporsi, visto che la maggior parte del mercato, italiano e non, pubblica così, o comunque separa le professionalità del disegnatore e del colorista. Infatti la parte strettamente tecnica si risolve in due schede di due pagine per il Corso di fumetto, e in un articolo sull'applicazione del computer: per il resto sono insegnamenti in forma principalmente di interviste ad autori, editori e operatori, arricchite, per i nomi di spicco del numero, da pagine di sceneggiatura oppure da sketchbook. A mo' di intervallo sono alcune rubriche ricreative sulle cose da leggere, da scoprire, da sapere, da cliccare, da giocare, e persino un paio di fumetti. Gentilmente concesso da un intervistato è un breve racconto inedito o poco visto; l'altro piccolo spazio è nelle ultime pagine, con l'altrettanto breve storia di un esordiente. Viene fatto seguire alla posta, fondamentale spazio per una rivista simile: dalle lettere viene dedotto che l'età dei lettori, scriventi e aspiranti fumettari, "va dai 9 ai 47 anni". Una pubblicazione per tutte le età, ma per minori accompagnati, se vogliamo dare il giusto, gravoso peso alle più volte ripetute affermazioni che presentano come accettabile prassi il furto di idee: "In genere non conviene registrare un'idea di storia, se qualcuno vuole rubartela e tu non sei una multinazionale, basterebbe variare di poco la tua idea, che non sarebbe più la stessa. Perderesti i soldi e la faccia." Non molti anni prima il piegarsi all'arroganza di potenti (o creativamente mentecatti) e il dileggio verso il derubato avrebbero suscitato le reazioni indignate dei lettori: i tempi involvono, e se qualcuno osasse dissentire, sarebbe bollato di sprovvedutezza.
Passando all'aspetto grafico, va notato come la copertina, prendendo a modello le riviste giapponesi di manga, riesca a rimanere efficace e leggibile pur riunendo 6-7 immagini: una in posizione centrale, le altre intorno, con le didascalie in un massiccio bastone bianco con ombreggiatura sfumata in nero. All'interno elemento accomunante è il fortissimo ingrandimento di un retino in monocromia, a far da sfondo o contorno ai testi. E l'elemento grafico ricorrente è proprio un grumo di quattro di questi punti. Così ci si perde spesso in fin troppi fronzoli, in forma di pallini, che finiscono con l'impedire l'utilizzo del colore per evidenziare alcune parti del testo, come potrebbero essere i passi più utili all'apprendimento del mestiere.